Wikipedia e demagogia

Il sito italiano di Wikipedia pubblica in queste ore un comunicato di protesta con cui denuncia al lettore il rischio “di non poter più continuare a fornire quel servizio che nel corso degli anni ti è stato utile e che adesso, come al solito, stavi cercando. La pagina che volevi leggere esiste ed è solo nascosta, ma c’è il rischio che fra poco si sia costretti a cancellarla davvero”. Tutto ciò a causa del comma 29 del cosiddetto DDL intercettazioni.

Wikipedia ci spiega che “tale proposta di riforma legislativa, che il Parlamento italiano sta discutendo in questi giorni, prevede, tra le altre cose, anche l’obbligo per tutti i siti web di pubblicare, entro 48 ore dalla richiesta e senza alcun commento, una rettifica su qualsiasi contenuto che il richiedente giudichi lesivo della propria immagine. Purtroppo, la valutazione della «lesività» di detti contenuti non viene rimessa a un Giudice terzo e imparziale, ma unicamente all’opinione del soggetto che si presume danneggiato. Quindi, in base al comma 29, chiunque si sentirà offeso da un contenuto presente su un blog, su una testata giornalistica on-line e, molto probabilmente, anche qui su Wikipedia, potrà arrogarsi il diritto — indipendentemente dalla veridicità delle informazioni ritenute offensive — di chiedere l’introduzione di una «rettifica», volta a contraddire e smentire detti contenuti, anche a dispetto delle fonti presenti”.

A mo’ di chiosa si aggiunge poi: “Sia ben chiaro: nessuno di noi vuole mettere in discussione le tutele poste a salvaguardia della reputazione, dell’onore e dell’immagine di ognuno. Si ricorda, tuttavia, che ogni cittadino italiano è già tutelato in tal senso dall’articolo 595 del codice penale, che punisce il reato di diffamazione”.

Da giurista mi sembra che le doglianze di Wikipedia siano in massima parte infondate e ispirate anziché da reali riscontri normativi, da una deviata ideologia che rifiuta a priori ogni tentativo di regolamentare l’utilizzo corretto di uno strumento di comunicazione di massa che ricopre un ruolo fondamentale nella vita dei cittadini, laddove Internet diventa sempre più una fonte di informazione alternativa rispetto a quelle tradizionali (giornali, televisione e radio).

Infatti il tanto deprecato comma 29, lettera a), del DDL 1415-B nel testo approvato dalla Camera dei Deputati aggiunge dopo il comma 3 della Legge 8 febbraio 1948 n°47 (legge sulla stampa) il seguente:

Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell’articolo 32 del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”.

In altre parole si estenderebbe così ai siti informatici una norma che da più di sessant’anni esiste per la carta stampata, mettendo fine alla utopistica pretesa di fare di Internet un mezzo di comunicazione «selvaggio» in cui chiunque è libero di dire ciò che gli pare senza limiti o vincoli di sorta: una pretesa che francamente non mi sembra affatto civile. Il termine di 48 ore dalla richiesta, poi, mi sembra proporzionato in considerazione della particolare «velocità» del mezzo di comunicazione in questione e dei costi contenuti per la pubblicazione della rettifica.

Il diritto di rettifica, già vigente per la carta stampata, prescinde dalla veridicità delle informazioni ritenute lesive dal soggetto interessato e non è subordinato all’onere per il richiedente di dimostrare la veridicità della propria contro-dichiarazione. L’esigenza di fornire un primo rapido rimedio ai soggetti “di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità” (art. 8, comma 1, L. 47/1948) giustifica in questa fase l’assenza del giudice; assenza rispetto alla quale non mi risulta che siano mai stati rinvenuti profili di illegittimità costituzionale. Sul punto, dunque, la doglianza di Wikipedia Italia appare infondata e pretestuosa.

Quanto alla tutela fornita dall’art. 595 c.p., trattasi di tutela necessariamente “ad effetto differito” a causa dei tempi tecnici (e patologici) della macchina giudiziaria e che rischia –come avviene spesso– di risultare solo parzialmente efficace. Lo stesso dicasi per la tutela civilistica del diritto al trattamento dei dati personali, all’immagine, all’identità personale.

Semmai l’aspetto più criticabile del DDL (oltre alla scarsa leggibilità di un testo composto di un solo articolo formato da numerosi commi) è la lettera b) del comma 28 (comma 29 nel testo all’esame del Senato) dove si dispone in generale (e quindi non solo per le pubblicazioni e i siti online) che le rettifiche siano pubblicate senza alcun commento. Cioè senza quelle due-tre righe di “risposta alla risposta” che siamo abituati a vedere sulla carta stampata.

Righe che a volte privano la rettifica del proprio doveroso risalto anche (tipo-)grafico e che tuttavia mi sembra siano sì espressione della libertà di espressione di ciascuno. Peraltro l’aggiunta di cui sopra è vaga: cos’è un commento? Testo altrui interpolato alle righe della rettifica? O un testo autonomo inserito in calce alla stessa? Secondo la prima interpretazione la norma di cui sopra è da condividere, perché una rettifica non può che essere pubblicata nella sua integrità ed integralità; se invece dovessimo seguire la seconda interpretazione (peraltro vaga) allora mi sembra che il legislatore abbia oltrepassato la misura di un sano equilibrio fra le esigenze delle parti in gioco.

Wikipedia e demagogia

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