Via libera alla fecondazione eterologa: lo ha dato la Corte Costituzionale il 9 aprile 2014 con una incisiva pronuncia che di fatto abbatte gli ultimi pilastri della Legge 40/2004.
La legge 19 febbraio 2004, n. 40 ha inteso disciplinare nel nostro ordinamento la Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) cioè l’insieme di tutti quei trattamenti per la fertilità nei quali i gameti, sia femminili (ovociti) che maschili (spermatozoi), vengono trattati al fine di determinare il processo riproduttivo.
In particolare, detta norma aveva introdotto all’art. 4, III co., il divieto di PMA eterologa ossia quel trattamento volto alla procreazione eseguito mediante utilizzo di materiale genetico di terzi.
La ratio del divieto in parola si fondava sulla esigenza di tutelare il diritto del nato all’identità genetica e di evitare la commercializzazione del corpo umano.
Infatti, secondo alcuni la fecondazione eterologa porterebbe anche in Italia al commercio dei gameti (ovuli e seme maschile) e degli uteri (c.d. «utero in affitto») ed i bambini non avrebbero certezza su chi siano i propri genitori e si aprirebbe la strada alla procreazione anche per le coppie omosessuali. E poi le statistiche dicono che si produrrebbero tanti casi di tentativi falliti, con embrioni trasferiti in utero e poi abortiti.
La Consulta con la pronuncia ut supra ha ritenuto tale divieto incostituzionale e «cancellati» gli articoli 4, comma 3; 9, commi 1 e 3 e 12, comma1, della Legge 19 febbraio 2004, n. 40.
La pronuncia, dunque, non solo ha soppresso il divieto di PMA eterologa (art. 4 comma 3 della Legge 40/2004), ma anche i commi 1 e 3 dell’art. 9. Il comma 1 dispone che “qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo […] il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall’articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, né l’impugnazione di cui all’articolo 263 dello stesso codice”.
In realtà l’art. 235 c.c. è già stato abrogato in forza del Dlgs. 154/2013 che ha parimenti riscritto l’art. 263 c.c. nell’ambito della revisione delle disposizioni in materia di filiazione.
Ad oggi non sono ancora state depositate le motivazioni sulle quali si sono basati gli ermellini. Tuttavia i Tribunali che hanno sollevato la questione di incostituzionalità sostenevano che tale divieto limitasse e/o condizionasse la possibilità delle coppie di determinare la propria condizione genitoriale, qualificata dunque come un vero e proprio «diritto soggettivo».
Il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin si è già espressa sulle conseguenze “normative” che la pronuncia della Consulta determinerà affermando: “l’introduzione della fecondazione eterologa nel nostro ordinamento è un evento complesso, che difficilmente potrà essere attuato solo mediante decreti“. Inoltre, “ci sono alcuni aspetti estremamente delicati – sottolinea Lorenzin – che non coinvolgono solamente la procedura medica, ma anche problematiche più ampie, come ad esempio l’anonimato o meno di chi cede i propri gameti alla coppia e il diritto d chi nasce da queste procedure a conoscere le proprie origini e la rete parentale come fratelli e sorelle”.
Per il momento quindi le coppie italiane che non hanno potuto procreare mediante le metodologie consentite dovranno ancora aspettare o alimentare il «turismo riproduttivo» all’estero, forti anche delle recenti pronunzie giurisprudenziali a loro favore.