Processo civile telematico: una inutile truffa

Il processo civile telematico è una inutile truffa; a quasi un anno dall’avvio e dopo mature riflessioni mi sento pronto a condividere un primo bilancio di questa esperienza che ha di fatto rivoluzionato la professione forense.

Il mio giudizio, diversamente dal passato, è oggi decisamente negativo: il PCT è diventato una sorta di cyber-mostro che complica il lavoro di tutti gli operatori del settore giustizia, che mette a rischio i diritti del cittadino a cominciare da quello tutelato dall’art. 25 Cost., e che non dà alcun beneficio.

Vi spiego perché.

Il processo civile telematico si articola fra l’altro nelle seguenti iniziative:

  • comunicazioni telematiche da parte delle cancellerie
  • deposito telematico degli atti del processo di cognizione
  • dematerializzazione dei fascicoli e dei verbali dei giudizi di cognizione
  • notifiche telematiche e autentica di atti da parte degli avvocati
  • dematerializzazione dei fascicoli dei procedimenti di esecuzione

Queste iniziative comportano oggi benefici e vantaggi molto limitati a fronte di inconvenienti che quotidianamente tutti noi sperimentiamo.

Un inconveniente comune a tutte le iniziative è data dalla obbiettiva fragilità dell’intera infrastruttura gestita dal Ministero della Giustizia.

Basti pensare al blocco improvviso del sistema di posta elettronica del Ministero della Giustizia del 27 novembre 2014.

O al black-monday del 19 gennaio 2015: gli «improrogabili interventi di manutenzione straordinaria del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia» annunciati solo il 16 gennaio e che avrebbero dovuto comportare una interruzione del servizio di deposito telematico dalle ore 14 del 17 gennaio alle ore 8 del 19 si sono invece prolungati fino alla prima serata del lunedì.

Dal lato invece dei servizi di consultazione online dei registri, sono tre giorni che il sistema fa le bizze, nonostante un avviso di interruzione preannunciato (sempre per «improrogabili interventi di manutenzione») per domenica 15 marzo 2015.

Sorge dunque spontanea una domanda: che razza di sistemi informatici utilizza il Ministero della Giustizia? Quali garanzie di continuità, accessibilità, funzionalità offrono? Chi concretamente è responsabile della loro gestione? Il breve schema riassuntivo predisposto dal Ministero della Giustizia non fa molta chiarezza sul punto!

Noi avvocati dobbiamo avere computer potenti, sempre aggiornati, protetti da virus e altro; casella di posta certificata; firma digitale, scanner super performante ecc. ecc. Per non parlare di linea ADSL decente, sistema di backup, gruppo di continuità ecc. ecc. Perché oggi se in studio salta la luce non c’è più nulla da fare: i fascicoli non ci sono più, gli atti non sai più con cosa scriverli, il telefono non va, il fax tace, la fotocopiatrice dorme. Salta la corrente e tu te ne resti li con le mani in mano!

Ma torniamo in dettaglio alle iniziative del P.C.T. e ragioniamo un attimo insieme

1 :: Comunicazioni telematiche da parte della cancellerie

È stata la prima fase del processo telematico ed è forse l’unica che mi sento di valutare positivamente. Consente infatti un notevole risparmio di tempo e di risorse economiche per l’amministrazione della giustizia ed ha il pregio di rendere più veloci i tempi di comunicazione anche per gli avvocati, senza che da ciò derivi alcun reale pregiudizio.

I costi vivi che il professionista deve affrontare per dotarsi di una casella di posta elettronica certificata sono infatti alquanto contenuti.

L’unica insidia può essere rappresentata dall’esaurimento della capacità della casella di posta elettronica certificata qualora la stessa sia utilizzata esclusivamente tramite webmail o protocollo IMAP cioè senza il regolare scaricamento dei messaggi su di un terminale locale.

È quindi opportuno che periodicamente ci si ricordi di trasferire i messaggi dal server di posta ad un terminale locale.

2 :: Deposito telematico degli atti del processo civile

In linea teorica è tutto facile, bello, veloce e comodo! Basta avere uno scanner potente, un buon programma per eventualmente alleggerire i PDF, e il gioco è fatto. Niente collazione del fascicolo cartaceo, niente corse dell’ultimo momento in cancelleria, niente spasmodica ricerca delle copie scambio dei colleghi che si perdono sempre nei posti più impensabili.

Ma non è tutto oro quel che luccica.

Se i documenti da produrre sono molti e quindi «pesanti» o se abbiamo a che fare con formati superiori al classico A3, l’avvocato che deve depositare va in crisi. Se poi il gestore di pec del Ministero della Giustizia è in tilt (programmato o a sorpresa) vivremo momenti tragici e non è detto che l’art. 170 c.p.c. ci possa salvare.

Dal «lato passivo» le cose non sono poi migliori. Certo, vediamo subito se la controparte deposita, e se tutto va bene con poco incomodo riusciamo a scaricare memorie, comparse e documenti allegati.

Poi però ad un certo punto dovremo prenderci noi il «disturbo» di stampare i file che abbiamo appena scaricato, perché non si può lavorare esclusivamente a video.

Stampa le comparse, stampa i documenti, metti insieme il fascicolo di studio. Il tempo che abbiamo risparmiato per depositare i nostri atti, lo reimpieghiamo per stampare quelli delle controparte. E quindi il beneficio sotto questo profilo diventa poco, quasi nullo.

Ma almeno non dobbiamo andare in cancelleria e se l’ufficio giudiziario non è davanti allo studio ma, ad esempio, in un’altra città ci risparmiamo tempo, noie e fatica. Nulla da eccepire, salvo gli inconvenienti che seguono.

3 :: Dematerializzazione dei fascicoli e dei verbali dei giudizi di cognizione

Il fascicolo delle cause civili è stato condannato a morte. Tutto è fatto in via telematica.

Lasciamo da parte gli scrupoli relativi alla conservazione dei fascicoli dei procedimenti definiti: la dematerializzazione del processo civile è davvero un vantaggio?

La prima sperimentazione del PCT ha riguardato il procedimento di ingiunzione. Un procedimento speciale, sommario, con un contraddittorio solo eventuale. Un procedimento snello che di solito si risolve nella lettura di un ricorso relativamente semplice e breve, nell’esame di pochi documenti (al dunque l’estratto delle scritture contabili di cui si verifica più la presenza che il contenuto) e nella redazione di un decreto estremamente succinto. La dematerializzazione per il procedimento monitorio quindi funziona.

Ma per gli altri procedimenti di cognizione la dematerializzazione comporta solo problemi.

È pensabile che un magistrato decida a causa leggendo guardando atti e documenti a video? Aprendo la sua console, scaricando di volta in volta una sequela di depositi telematici?

Non è realistico e infatti nella prassi questo non avviene. Del resto non è nemmeno serio pretendere che il magistrato si debba prendere la briga per ogni controversia di crearsi autonomamente il proprio «fascicolo di studio» ufficioso. La formazione del fascicolo cartaceo dovrebbe quindi essere affidata alle cancellerie che, tuttavia, per carenze di personale, di mezzi tecnologici e spesso anche di voglia non sono in grado di provvedervi, come puntualmente osservato dal CSM.

Diversi ordini forensi in sede di protocollo hanno tentato di introdurre l’obbligo per le parti di depositare anche una «copia di cortesia» in formato cartaceo: ma allora a cosa serve il PCT? Per non parlare dell’aberrazione a cui si è giunti con il voler condannare la parte che non adempia spontaneamente a quanto previsto dal protocollo.

Del resto in presenza di enormi lacune normative, numerosi sono gli ordini forensi ed i tribunali che hanno tentato di mettere una toppa tramite la stipula di protocolli: iniziativa lodevole che però va a detrimento della certezza del diritto, perché non è detto che sulla medesima problematica le soluzioni convenzionali adottate siano le stesse in tutti i fori.

Ulteriore elemento di preoccupazione è costituito dalla stesura del verbale di udienza a cura del magistrato, che a tanto provvede direttamente tramite computer. Nella prassi questo comporta la redazione di verbali stringatissimi, spesso anche carenti, che a volte i procuratori delle parti non hanno neppure il diritto di rileggere e –se del caso– di far correggere prima della chiusura.

Ma a distanza di mesi e/o di anni il giudice e gli stessi procuratori delle parti cosa ricorderanno dell’udienza? Come faranno a decidere la causa, a rassegnare le proprie conclusioni, se al posto di un verbale avranno a disposizione solo un riassuntino di poche righe?

E allora ben venga il verbale telematico, ma solo a condizione che sia un verbale che nasce cartaceo e che poi viene dematerializzato, se del caso anche a cura degli avvocati.

4 :: Notifiche telematiche e autentica di atti da parte degli avvocati

In linea di massima sulle notifiche telematiche da parte degli avvocati ho poco da dire: ne sono entusiasta. Bene quando si deve notificare –ad esempio– un atto di citazione con relativa (separata) procura alle liti. Certo i recenti dubbi posti dal D.P.C.M. 13/11/2014 non sono di poco conto, ma alla fine il sistema funziona.

Ma la questione si fa più complessa quando l’atto da notificare non è un atto dell’avvocato bensì un atto che o nasce telematico (ed è stato estratto dal fascicolo elettronico) oppure nasce cartaceo.

Attualmente l’autentica di queste due tipologie di atti è contraddistinta dall’uso di formule quasi sacramentali che mi ricordano l’antico diritto romano delle origini: “in forza dell’articolo 123 del Decreto Legge come convertito con modificazioni dalla Legge numero”….

Tutte queste sbrodolate non mi sembrano serie ed ho più volte sostenuto che, dato il tenore letterale delle norme e la ratio legis complessiva del P.C.T., è sufficiente un “atteso che l’atto x è conforme all’originale y” e tanti saluti.

Del resto i cancellieri degli uffici giudiziari mettono un laconico timbro o poco più, e tutti sappiamo che hanno il potere di autenticare in virtù di una qualche norma di cui giustamente non ci importa un bel fico secco.

C’è però un problema: il numero spropositato di copie-di-copia che si generano in questo modo. Esempio classico: un atto di intimazione di sfratto con pedissequa procura alle liti che nasce come atto cartaceo. Ne produco una copia telematica (copia 1) che notifico. E di questa copia telematica notificata genero una seconda copia telematica o cartacea (copia 2) per la iscrizione a ruolo. Convalidato lo sfratto, se ho iscritto a ruolo con copia telematica, si deve generare un nuovo «originale» in calce al quale apporre l’ordinanza di convalida, ed ecco nascere una nuova (copia 3) copia. È mostruoso ed il concetto di copia elettronica di documento elettronico pone poi altri interrogativi di cui non mi voglio proprio occupare.

Sempre in tema di notificazioni, che sorte ha la notifica ad indirizzo pec non risultante da un pubblico registro ma di cui ho conoscenza (ad esempio, amministratore di condominio)?

È possibile eseguire tramite pec la notifica ai sensi dell’art. 660 c.p.c.?

Le notifiche da farsi alla parte costituita, si fanno notificando alla pec del procuratore o a quella dell’eventuale mero domiciliatario?

Insomma, bisogna stare attenti!

5 :: dematerializzazione dei fascicoli dei procedimenti di esecuzione

I problemi sono tantissimi, a cominciare dal fatto che qui a moltiplicarsi ed a fare figli sono non dei semplici atti di parte, ma i titoli esecutivi di cui nessuna norma di legge prevede ad oggi il deposito in cancelleria in formato cartaceo! Del resto in cancelleria, dove il fascicolo cartaceo non esiste più, non saprebbero davvero dove metterseli questi titoli esecutivi, un po’ come succede con i danari e gioielli rinvenuti in occasione del pignoramento… un bel dilemma!

Ma la cosa che più salta agli occhi è che avvocati e cancellerie debbono essere dotati di tutti i necessari strumenti informatici, mentre nulla è previsto per gli ufficiali giudiziari fra le cui dotazioni non sono previsti né computer, né scanner, né stampante, né pec, né firma digitale.

E allora, posto che ora è la parte a dover provvedere in fretta e furia a ritirare la temibile triade titolo+precetto+atto di pignoramento per iscrivere a ruolo in via telematica, possibile che non vi sia nessuna forma per dare prova legale di quando l’ufficiale giudiziario è pronto a restituirmi il mio fascicoletto?

A Bologna, dove vi è una dirigenza virtuosa, si sono ingegnati con una email di cortesia e con un sito che ogni giorno viene aggiornato con gli atti in restituzione: una prova di buona volontà encomiabile, che cerca di tappare l’ennesima lacuna lasciata da un legislatore distratto ed ignorante.

E qui mi fermo, per carità di patria e mancanza di tempo da perdere, ma ci sarebbe ancora molto da dire. Penso però che salti agli occhi una cosa: i benefici del PCT sono davvero pochi, sia in termini di risparmio economico per il bilancio dello stato; mentre il sacrificio richiesto alla collettività è enorme e spropositato.

Processo civile telematico: una inutile truffa

One thought on “Processo civile telematico: una inutile truffa

  • 17 luglio 2017 at 02:33
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    Valido quanto affermato al punto quattro. Oltretutto si possono formare anche copie di precedenti copie prodotte nel fascicolo di parte telematico. E questo si fa con un attestazione che una copia è conforme a un atto che sta nel fascicolo di parte telematico.. ma nel fascicolo telematico di parte per quanto riguarda le produzioni ci sono solo copie. Il tutto nella piena vigenza del principio retorico di cui agli art.2712 e 2719 c.c. secondo cui le fotocopie “non conformi” ad atti originali che siano prodotte dalla parte in una causa civile possono anche passare per vere e autentiche se non vengono contestate dalla controparte.
    Quindi per ridare un po’ di logica al processo civile telematico, o si rende meno retorico il processo civile abolendo gli articoli 2712 e 2719 c.c. o si abolisce la facoltà di formare copie di precedenti copie prodotte nei fascicoli di parte.

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